Estratti critici

Nel solco di tale temperie si colloca dunque Starnone, in un’ottica in cui il femminismo non funziona come vieto maschilismo rovesciato, bensì è parte, sia pure fondamentale ed imprescindibile, di un’unica, generale lotta per il riscatto dell’umanità. Parimenti questo progetto sta a buona parte della sua produzione, quella contraddistinta da un assiduo impegno sul terreno dell’indagine socio-antropologica e corredata da un marcato senso icastico. Che si tratti, in altre parole, di un indigente, di un emarginato, di un extracomunitario, come avviene in precedenti cicli, o di una donna; che la narrazione avvenga tramite la cattura istantanea dell’immagine, come è più avvezzo a fare, o che venga sviluppata tramite una più studiata composizione visiva, il suo sguardo non muta. Esso si dimostra vivo e partecipe in quanto terenzianamente impossibilitato a non avvertire con urgenza il senso di comunanza derivante dall’appartenenza alla medesima specie («Homo sum, nihil mihi humanum alienum puto»), ma anche cosciente dell’irriducibilità della specifica condizione di ognuno dei suoi personaggi, l’una diversa da quella dell’altro, e soprattutto da quella di colui che sta dietro la fotocamera, consapevolezza fondamentale per fornire la misura dello stesso quoziente di verità delle immagini. Starnone si dimostra, di conseguenza, un cantore appassionato, ma di un epopea la cui protagonista è, a tutti gli effetti, unica artefice del proprio percorso verso il “sol dell’avvenire”, ché proprio in termini di opposizione luce-ombra, probabilmente il più antico ed il più emblematico dei dualismi, dalla storia delle origini dell’universo («Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre», si legge nel primo libro della Bibbia) ai fondamenti stessi del medium fotografico (scrittura di luce), si sviluppa la narrazione.
S. Taccone, Svelati, testo della brochure della personale Svelati, Lloyd’s Baia Hotel, Vietri sul mare (SA), 2009

La peculiarità dello sguardo di Starnone è individuabile proprio nel suo fondamentale interesse a cogliere quella proteiforme dialettica che si instaura tra l’opera ed il fruitore, nel ventaglio di possibilità conoscitive che tale incontro dispiega. Esso è in grado di evidenziare le implicazioni altrimenti meno immediatamente percettibili della prima, così come di parlarci del retroterra sociale e psicologico del secondo, inteso ovviamente non tanto in quanto singolo ma in quanto prototipo di un gruppo. Un sodalizio che appare, in ultima istanza, approdare spesso e volentieri alla fusione-integrazione. È il fenomeno che interessa, ad esempio, l’incontro tra il cavallo di ferro di Pablo Picasso ed il turista che si sistema a tracolla la custodia della macchina fotografica, la cui figura, colta nel pieno dello svolgersi dell’azione, sembra pervasa del medesimo empito visionario dell’artista catalano, o tra l’autoritratto di Vincent Van Gogh e colui che lo osserva, il cui volto si scopre sorprendentemente simile a quello dell’artista olandese. È quanto avviene, inoltre, nelle numerose scene, osservate da molteplici angolazioni, di gruppi composti da uomini e statue, allorché la naturale dinamicità dei primi e l’altrettanto naturale staticità delle seconde appaiono subordinati ad una visione d’insieme ove tale scarto risulta appena percepibile. Se l’istantaneità dello scatto rende infatti gli uomini simili a statue, queste ultime, poste in una cornice ove tutto è comunque fermo, rafforzano la loro capacità di comunicare il movimento umano. La fotografia si dimostra, in altre parole, capace di accorciare le distanze tra l’uomo e la statua.
S. Taccone, Viaggio nei musei in F. Riccardo, S. Taccone (a cura di), Viaggio nei musei, catalogo della mostra con contributi di S. Taccone, V. Starnone, Castel Nuovo, Napoli, Effeerre Edizioni, Napoli, 2010.

“La fotografia come arte, – osservava Benjamin citando una frase di Sasha Stone, – è un campo molto pericoloso”, ricco d’insidie, però, mette al riparo dai rischi propri della “tendenza all’arte industrializzata”. Di tale verità Vincenzo Starnone ne è profondamente convinto e l’ha assunta come prerogativa del suo lavoro. La cosciente volontà di mantenersi lontano da sollecitazioni sociologiche (manipolate come giudizi sul “sistema dei valori”), proprie di un tipo di reportage o degli ammiccamenti offerti dai territori della pubblicità, è diventata negli anni una cifra ben evidente della sua ricerca. Lo è perché sin dalle prime esperienze ha scelto il campo urbano, cioè quello sobillato dalle quotidiane conflittualità dell’essere, come luogo ideale dell’immagine, senza però asservirla alla cronaca, vale a dire alla rapidità che lega lo “scatto” all’evento. Inoltre è stato capace, anche in tempi odierni caratterizzati da un’accelerata tecnologia, sempre più sofisticata, di restare fedele al bianco e nero e, quindi, ad un processo di ragionata astrazione, con le difficoltà che esso comporta. E’ innanzitutto il coraggio di non cedere alla seducente referenzialità narrativa avanzata dai soggetti. Il suo punto di partenza resta sempre il “laboratorio delle immagini”, ossia la stanza dell’alchimia dove la misura della realtà è scandita dal tempo di “esposizione” e, dunque, dalle possibilità che esso offre alla luce di modellare lo spazio e la superficie, il gesto e le cose, l’universo e l’oggetto. Un tempo mentale, astratto, con il quale Starnone regola il frenetico ritmo che lega fra loro i termini estremi di queste coppie o, meglio, i poli entro i quali si svolge la vita che è quella di tutti i giorni, del nostro (ma è anche il suo) peregrino muoverci tra le cose e gli spazi.
(Bignardi M., Immagini di figure su vetro in Bignardi M., Borrelli G., Pugliese E., Starnone D., Starnone V. Viaggio nel lavoro,cat. mostra, Effeerre, Napoli, 2002)

Le immagini in cibachrome di Starnone sono cariche della forza espressiva del frammento. Dettagli di una scrittura che la luce descrive sulle cose restituendoci sempre nuovi paesaggi dell’immaginario, originati, sempre e comunque, dalle tracce del tempo e dei segni della storia dell’Uomo. Con una serie di assemblaggi tra reperti antichi e moderni Starnone restituisce il suo frammento di racconto flegreo, di sicuro vicino ad un’idea di lettura del paesaggio come testimonianza attiva e sensibile. Da una successione di dettagli, alternando a frammenti della classicità quelli postindustriali, queste fotografie propongono effetti percettivi vicini a quelli dell’arte astratta e optical, prodotti in questo caso da reiterazioni di tratti e dal lo0ro magico ingrandimento.
(De Cunzo L., Frammenti – Flegrei in De Cunzo L., Lista P., Starnone V., Frammenti Flegrei, cat. mostra, Olcea Fluctus Ars, Napoli, 2000)

La Parigi di Starnone incarna, o meglio, fa suo il simbolo della attuale frammentarietà e fragilità virtuale di un mondo dove l’uomo antropomorficamente si guadagna una sua decentrata supremazia, proiettando innumerevoli “altri da sé” sul corpo del reale in un rifrangersi all’infinito di forme. Il fotografo fortunosamente presente e sensibile ai momenti più deliziosamente equivociseppure in uno scorrere del tempo naturale e quotidiano, ci conduce attraverso il reticolo della Metrò dove l’immagine si sostituisce praticamente al reale. Anzi quest’ultimo dimostra di soccombere alla prima, che ingloba ogni evento, che trasforma ogni contingenza in evento-immagine frammentari e fuggitivi. Per sopravvivere all’interno di un clima così underground c’è bisogno di immagini calde ed avvolgenti che offrendo protezione allontanino ansie e malumori, capaci di proteggere nel loro abbraccio solitario anche i barboni che disdegnano il riaffiorare in superficie. In tal modo i manifesti pubblicitari assumono il ruolo di numi tutelari del luogo, la Metrò e delle persone che vivono attraversandola. Tali sono le immagini-abbraccio di Vincenzo Starnone, che stavolta ci rivela nelle sue foto la vibrazione più profonda del suo animo umano, perché è proprio l’Umanità ad essere il soggetto ultimo e le responsabilità che gravano su questo uomo-immagine siano denunciate e si aprano ai problemi riguardo l’evidente straniamento dovuto all’essere spiazzati proprio dalle immagini. Non è facile raccogliere i pezzi del sé in questo affastellarsi di forme tanto da divenire forme astratte.
(Andreini D., La Parigi di Starnone in Andreini D., Bertelli P., Starnone V., Sopra sotto: viaggio a Parigi, cat. mostra, TraccEdizioni, Piombino – LI, 1999)

Da parte di Starnone non c’è alcuna intenzione interpretativa ma semplicemente di testimonianza di un evento, atto che viene compiuto con grande discrezione e sensibilità, cogliendo anche gli attimi apparentemente meno importanti della festa. Ne escono immagini di grande forza e passione in cui il bianco e nero, quasi a simboleggiare il giorno e la notte come momento del rito o, se si crede, il bene ed il male, la vita e la morte, rendono in modo altamente emozionante una rappresentazione rimasta intatta nei secoli, tutt’uno con l’isola.
(Falanga C., Suggestioni procidane, il sonno dei piccoli angeli, Il Roma, 21 novembre 1997)